E’ possibile prevedere le “professioni del futuro”?

Alla domanda che ci poniamo in questo articolo, se si potesse usare una sola parola, la risposta dovrebbe essere: no.

Tuttavia c’è spazio sufficiente per spiegarsi meglio: alcuni aspetti dell’evoluzione di una professione sono prevedibili, ma in generale predire le “professioni del futuro”, stante i veloci cambiamenti della tecnologia, resta sostanzialmente difficile.

Le previsioni del passato

Basta citare alcuni dei molti o moltissimi libri che nel passato hanno cercato di dare risposte in tal senso. Nel 1986 Wassily Leontief (premio Nobel per l’economia) e Faye Duchin nel loro libro “Gli effetti futuri dell’automazione sui lavoratori” erano costretti ad ammettere che “le opinioni sull’automazione esposte sia nella letteratura accademica sia nella stampa divulgativa coprono un ampio ventaglio, dal pronostico confortante che le flessioni del tassi di crescita della forza lavoro (negli USA n.d.r) … avranno un effetto più che compensativo rispetto alla perdita dei posti di lavoro, alle previsioni che entro il 2010 gli addetti all’industria manifatturiera scenderanno dagli oltre 25 milioni attuali a meno di tre milioni”. A beneficio di chi legge va detto che nel 2014 gli addetti nell’industria in senso stretto erano poco più di 12 milioni; il dibattito sul tema a metà degli anni ’80 era evidentemente polarizzato fra due estremi, entrambi smentiti dai dati. Le pur buone previsioni degli autori (che non riporto) erano influenzate dalla conoscenza delle tecnologie disponibili allora, così come le previsioni che facciamo oggi sono influenzate dalle tecnologie che conosciamo. Leontief e Duchin parlano del futuro del personale degli sportelli bancari ipotizzando la sua sostituzione con gli ATM (i bancomat). Al momento in cui scrivono l’home banking è una tecnologia imprevedibile, perché internet, che già esiste, è ancora confinata in spazi militari e accademici. La diffusione della tecnologia non è lineare; l’accelerazione della sua diffusione determina la grandezza del suo impatto sulle categorie professionali esistenti, mentre la sua pervasività fra settori diversi determina quali professioni si trasformano radicalmente, quali professioni scompaiono e quali professioni legate a quella tecnologia emergono e si affermano.

Le previsioni qualitative sono più interessanti

In Italia nel 1986 Nicola Cacace nel suo libro “Attività e professioni emergenti” ipotizza che lo spiazzamento tecnologico generi disoccupazione solo nelle fasi di transizione, ma che le fasi di transizione siano in prospettiva più lunghe e la capacità di adattamento di uomini e strutture troppo lenti ad adattarsi: ne risulterebbe una disoccupazione strutturale inevitabile. Riguardo alla capacità dei sistemi istituzionali e della scuola di adattarsi al cambiamento, alcune delle previsioni di Cacace nel 1986 sono coerenti con i dati di oggi, passati più di 30 anni dal momento in cui sono state formulate:

  • 1/3 della popolazione sarà sufficiente a produrre beni agricoli e industriali, 2/3 sarà dedicata al settore dei servizi e alla elaborazione e trasmissione dell’informazione;

  • Il 50% delle professioni avrà contenuti nuovi anche se con titoli invariati;

  • Le classi sociali si articoleranno in numero più grande di gruppi con l’emergere di nuovi ricchi e di nuovi poveri;

  • Il titolo di studio non sarà in grado di garantire l’appartenenza a determinate fasce sociali e di reddito;

  • Il pericolo di invecchiamento e superamento sarà tanto più elevato quanto più specializzato è il settore di applicazione della professione.

Professioni del passato e hobby del presente.

Questa ultima osservazione è estremamente importante. Se esaminiamo il ciclo di vita di alcune professioni possiamo notare che la loro diffusione iniziale è estremamente importante per la loro sopravvivenza e trasformazione. Ad un certo punto della storia della civiltà tutti gli uomini sono stati dediti alla caccia e alla pesca. La specializzazione del lavoro, dovuta anche alla evoluzione delle armi e delle tecniche di pesca, ha generato un gruppo professionale specifico che col tempo e le economie di scala (dovute all’allevamento) si è andato progressivamente assottigliando. Oggi abbiamo molti cacciatori e pescatori che svolgono queste attività come hobby, per cui il gruppo dei produttori di armi da caccia e di canne da pesca continua a svolgere la sua attività professionale. La trasformazione in hobby di molte professioni del passato, assieme alla prosecuzione della stessa professione come attività retribuita, convivono per molte attività connotate dalla abilità personale nella lavorazione materiale. Come testimoniano i tanti brico-centre che costellano le periferie delle città oggi abbiamo meno falegnami-elettricisti-imbianchini professionisti e molti falegnami-elettricisti-imbianchini hobbisti. Prevedo sia molto più difficile vedere, anche in futuro, medici e ingegneri termonucleari che si dedicano a queste professioni per hobby, vista la diffusione relativamente limitata e la specializzazione professionale più elevata che queste professioni hanno.

Scenari, non previsioni!

E’ possibile fare scenari sul futuro e predire linee di tendenza che si possono ragionevolmente avverare, ma non è possibile quantificare esattamente gli impatti su una professione specifica e soprattutto quantificare e dare un nome a professioni che dipenderanno da tecnologie che non conosciamo ancora, oppure da tecnologie che conosciamo già ma delle quali non sappiamo se e quando avranno una diffusione tanto massiccia da cambiare il modo con cui lavoriamo e ci rapportiamo agli altri.

Qualunque mestiere si faccia o si abbia intenzione di fare, vale comunque questa considerazione formulata nel 1986 da Nicola Cacace che riporto letteralmente:

“… non è più possibile, per nessuno, dividere la vita in due fasi distinte, studio e lavoro; la formazione e l’aggiornamento saranno processi permanenti e necessitati proprio dalla velocità dei cambiamenti”.